Facilitazione di ricorso al credito: quanto durerà?
I prestiti di emergenza alle imprese hanno certamente evitato uno tsunami di fallimenti, ma ora sorgono inquietanti domande sul prossimo futuro
Molte delle previsioni sull’andamento dell’economia globale durante la crisi pandemica si sono rivelate completamente errate. Innanzi allo shock provocato dal lockdown simultaneo delle principali economie industrializzate, ad Aprile 2020 si riteneva che l’imponente caduta del PIL e la scarsa liquidità avrebbero provocato uno tsunami di fallimenti nel settore privato. D’altra parte, non ci si poteva aspettare nulla di diverso dopo la crisi finanziaria del 2009 e quella del debito dell’area Euro nel biennio 2011-2012.
In condizioni normali, infatti, ogni rapida caduta della domanda innesca una grave crisi di liquidità nel settore privato non finanziario che si trasforma rapidamente in una crisi di solvibilità, soprattutto se le banche restringono l’accesso al credito perché anch’esse in difficoltà. All’onda naturale di fallimenti segue poi un’impennata della disoccupazione, con ripercussioni negative a cascata su consumi, risparmi e produzione industriale. Successivamente, le banche accumulano un’imponente quantità di crediti deteriorati (com’è accaduto in Italia dal 2011 in poi) che rendono difficile la ripartenza dell’attività di prestito all’economia reale.
Ciononostante, ad aprile 2021 si registra un tasso di fallimenti generalmente piuttosto basso e addirittura ridotto nella maggioranza delle economie avanzate. Se prendiamo l’indice rappresentativo dei fallimenti d’impresa (Bankruptcy Index – BI) che è stato normalizzato in maniera tale da consentire una comparazione a livello internazionale, scopriamo che l’impatto della crisi subprime del 2008-9 si è fatto sentire soprattutto negli USA, mentre in Italia fu la crisi del debito sovrano del 2011 a determinare una stretta creditizia senza precedenti da parte delle banche. Sorprendentemente, l’impatto dello shock pandemico del 2020 è stato nullo o molto limitato per tutte le economie sotto osservazione. Se infatti compariamo l’andamento medio del PIL e del tasso di disoccupazione con l’indice BI per le principali economie mondiali, si nota bene l’anomalia del 2020.
Come ricordato sopra, generalmente alla caduta del PIL durante le crisi si associa una crescita del tasso di fallimenti d’impresa e poi, con un intervallo temporale di 1-2 trimestri, l’aumento del tasso di disoccupazione. Nel 2020 il PIL crolla a causa dei lockdowns e del temporaneo arresto del commercio internazionale, la disoccupazione mediamente cresce ma l’indice BI stavolta scende invece di salire. Gli economisti della Bank for International Settlements (BIS), in un loro recente paper, definiscono la divergenza tra il tasso di fallimenti previsto dai modelli teorici e quello osservato con l’espressione “bankruptcy gap”. Tale divergenza è presente anche nel 2020, sebbene ad una maggiore caduta del PIL sia seguito un incremento più contenuto della disoccupazione per via degli schemi di blocco dei licenziamenti tutt’ora in vigore in diversi Paesi dell’area valutaria (Italia e Spagna in primis).
L’impatto della pandemia è stato altamente asimmetrico rispetto alle crisi precedenti. Sebbene lo shock abbia colpito in modo eccezionalmente duro il settore dei servizi (trasporti, turismo, ristorazione e cultura in primis), altri comparti produttivi, come la manifattura o le costruzioni, sono infatti stati risparmiati dalla pandemia e dalle associate misure di contenimento. Con le riaperture estive si è registrata una forte ripresa delle attività e un discreto recupero dei ricavi che hanno attenuato le esigenze di liquidità. Alcuni settori hanno sperimentato paradossalmente un boom per via del mutamento strutturale dei consumi indotto dalle misure restrittive. In particolare, il settore immobiliare e quello dei beni durevoli associati all’abitazione (mobili, elettronica di consumo) hanno beneficiato del dirottamento verso di essi di una consistente fetta del potere d’acquisto che prima era destinato alle spese per trasporti, turismo e consumi culturali.
Ma un secondo fattore, probabilmente ben più importante, che ha determinato il contenimento dei fallimenti, è stata l’ampia offerta di credito alle imprese, facilitata da un’espansione monetaria e fiscale senza precedenti. Queste politiche hanno favorito la prevenzione delle insolvenze in quanto le aziende falliscono per lo più quando non hanno sufficiente liquidità per operare. L’espansione del credito registrata durante il 2020 è infatti talmente in contrasto con la crisi finanziaria del 2009 che ci offre la ragione cruciale dei sorprendenti effetti a cui abbiamo assistito sinora.