Le imprese possono ancora permettersi commercialisti che si limitano a svolgere solo gli adempienti fiscali?

La consulenza finanziaria rappresenta oggi una competenza sempre più necessaria ma la più parte dei commercialisti si limita tuttora a redigere bilanci e business plan dal sapore scolastico, ignorando normative e paradigmi che frattanto sono completamente cambiati.

Le scelte strategiche aziendali possono davvero essere demandate ad un professionista che si limita al calcolo delle tasse da pagare tenendo (quando va bene) l’azienda in regola con il fisco?

Il dottore Commercialista in epoca pandemica e post pandemica si trova ad affrontare problematiche nuove e diverse; una tra le molte, è la consulenza in materia finanziaria.

Egli si trova oggi in un mercato nel quale è necessario assistere le proprie aziende clienti nella negoziazione e pianificazione finanziaria, in un contesto che evolve ogni giorno e nel quale occorre capire come dialogare con i sistemi interni delle banche.

Redigere un bilancio ed un generico business plan non sarà sufficiente per risolvere un problema per il quale le competenze necessarie purtroppo sono ben altre.

Ciò nonostante, la maggior parte degli imprenditori con cui parliamo ogni giorno ci evidenzia un bisogno irrisolto di maggiore assistenza e considerazione per gli aspetti negoziali banca/impresa che gli studi professionali incaricati, spesso incolpevolmente, non riescono a soddisfare.

Il perché è molto semplice.

Con 99 scadenze fiscali in un anno, praticamente una ogni 3,65 giorni, come si può pensare di offrire alla clientela della consulenza specialistica tempestiva e qualificata?
Una recente ricerca della Banca Mondiale assegna all’Italia il 118°posto nella classifica dei paesi per facilità di pagamento delle tasse (meglio non dire dietro quali siamo..)

Accade così che il commercialista intervenga più o meno una/due volte l’anno, che si relazioni all’impresa solo in prossimità della liquidazione delle imposte, il tutto con buona pace dei bisogni finanziari dell’impresa, dei nuovi paradigmi del mondo del credito e delle norme che ne regolamenteranno l’accesso.

Facciamo un esempio molto concreto.

Sono entrate in vigore le Linee Guida (Guidelines on loan origination and monitoring) che l’Autorità Bancaria Europea (EBA) ha emanato relativamente i nuovi modelli di comportamento che le Banche Europee dovranno adottare durante la fase di concessione e gestione dei crediti.

L’obiettivo dichiarato è quello di rendere gli istituti finanziari ancora più prudenti in tutte le fasi di concessione, gestione e monitoraggio dei crediti tanto che nel valutare il merito creditizio del cliente, le banche dovranno porre l’enfasi su una stima realistica delle marginalità reali dell’impresa, dei flussi di cassa futuri a sostegno del debito e non più sulle garanzie offerte.

Cosicché a differenza del passato, la garanzia reale disponibile non sarà più criterio dominante per l’approvazione né giustificativo per la concessione di un prestito ma unicamente la seconda via d’uscita dell’ente in caso di default o di deterioramento significativo del profilo di rischio.

Se non gestite in maniera efficace, queste nuove regole renderanno sempre più difficile l’accesso al credito bancario per le PMI, già duramente messe alla prova dalla pandemia.

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